La settimana dell’educazione, che domenica incontra la festa della famiglia, è l’occasione per approfondire spunti di riflessione che ci aiutano a calare nell’oggi la dinamica educativa pastorale.
Quest’anno la diocesi ci invita a riflettere sullo stile educativo dell’ospitalità. Una ospitalità che innanzitutto è una ospitalità del cuore, per essere capaci di accogliere l’altro come presenza viva del Signore. Lo stile dell’ospitalità ci impone di abbattere i muri del pregiudizio, del “si è sempre fatto così” e della paura per andare veramente incontro ai fratelli e alle sorelle che incontriamo.
I muri sono anche le strutture, che non sono fine a se stesse, ma sono degli strumenti per accogliere con lo stile dell’ospitalità. Quante volte sentiamo dire che l’oratorio è, dovrebbe essere o dovrebbe tornare a essere come una casa? Una casa ospitale è una casa con le porte sempre aperte, sia per entrare, ma anche per uscire, non solo per “far uscire”. Lo Spirito missionario ci spinge a incontrare tutti e a non dimenticarci di nessuno.
A mio parere, gli anni appena passati hanno accelerato alcuni processi, già in atto, di disaffezione dei luoghi della formazione della fede. Non è una novità che molti oratori della diocesi siano in sofferenza rispetto alla partecipazione di giovani, famiglie e volontari.
La possibilità di ritornare a frequentare persone e luoghi con un po’ più di tranquillità ci permette di ripartire con nuovi sogni e desideri sapendo che il cammino che ci aspetta è in gran parte nuovo e da costruire insieme.
Papa Francesco, con l’esortazione apostolica Evangelii Gaudium, ha tracciato la strada della Chiesa in uscita.
Al numero 105 ci ricorda che: “I giovani, nelle strutture abituali, spesso non trovano risposte alle loro inquietudini, necessità, problematiche e ferite. A noi adulti costa ascoltarli con pazienza, comprendere le loro inquietudini o le loro richieste, e imparare a parlare con loro nel linguaggio che essi comprendono.” A questo punto dovremmo domandarci se siamo adulti capaci di ascoltare con pazienza, di comprendere inquietudini e richieste, e se siamo capaci di parlare un linguaggio comprensibile.
Per quanto tempo abbiamo pensato che oratorio e pastorale giovanile fossero la stessa cosa? Quanto ci piacerebbe tornare a un passato che ricordiamo come glorioso? Quanto ci piacerebbe avere dei giovani sempre a (nostra) disposizione?
Oggi “mancano” i giovani perché mancano gli adulti. Dove sono i genitori di questi giovani? Dove vivono? Di cosa hanno bisogno? Abbiamo il desiderio d'incontrarli?
La realtà che ci sta davanti, a volte, ci fa paura, ma lo Spirito missionario ci invia verso gli altri perché, come viene ripreso dal lavoro diocesano per la preparazione della settimana dell’educazione, il criterio dell’ospitalità è riferito alla paternità di Dio, che tutti abbraccia e che tutti ama. Se proveremo a realizzare, con coraggio, questo stile, allora troveremo nuove motivazioni, faremo spazio dentro di noi per far posto all’altro e ci ricorderemo che le strutture sono a servizio dell’incontro e ci capiterà anche di andare in luoghi “insoliti” come parchi e piazze. Ma poi, per i cristiani, sono davvero così insoliti?
Lascio le ultime parole di questo articolo con un riferimento al numero 91 di Evangelii Gaudium. Credo che in questo caso con il termine “gli altri” valga la pena pensare anche a coloro che insieme a noi svolgono un servizio.
“È necessario aiutare a riconoscere che l’unica via consiste nell’imparare a incontrarsi con gli altri con l’atteggiamento giusto, apprezzandoli e accettandoli come compagni di strada, senza resistenze interiori. Meglio ancora, si tratta d'imparare a scoprire Gesù nel volto degli altri, nella loro voce, nelle loro richieste. È anche imparare a soffrire in un abbraccio con Gesù crocifisso quando subiamo aggressioni ingiuste o ingratitudini, senza stancarci mai di scegliere la fraternità”
di Vito Casalino
educatore della Comunità